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Paola Doffo

artisti

Nata a Porto Recanati (MC) ed ivi residente, laureata in Lettere, ha sempre insegnato alla Scuola Media.

Appassionata di letteratura ha,con gli anni, arricchito il suo bagaglio culturale che oggi sfocia in pensieri e concetti lirici.

Poesia di "attesa " e " mancanza " di costanti affettive su cui costruire la propria vita; cieca all'esterno col capo chino solo alla sua interiorità.

Oggi, con il "trasmutar delle stagioni" cerca di riaprirsi alla vita,cogliendone la bellezza e costruendo a fatica l'armonia tra sé e il mondo.

La sua poesia, intensa di significato, si esprime con un significante semplice e spesso inascoltata e incompresa è "la fatica del vivere" che essa esprime.

La sua raccolta di poesie dal titolo "Una donna daccapo" è risultata tra i quindici finalisti al Concorso Letterario "Autori per l'Europa" delle Edizioni IBISKOS di Empoli.

Le Edizioni HELICON così si esprimevano sulla sua raccolta:
"Di profondo interesse è la silloge di Paola Doffo "UNA DONNA DACCAPO".
Vi si rilevano coraggio e originalità.
Coraggio per il modo diretto con cui il "tema donna" viene affrontato e svolto, spesso su articolati sviluppi prossimi alla cifra psicologica oltre che emotiva (quasi ad integrarne lo spessore espressivo).
Originalità per i percorsi su cui l'autrice appoggia le proprie argomentazioni (percorsi mai inutilmente tortuosi e tuttavia fascinosamente non lineari).
Va inoltre sottolineata la pregnante valenza lirica che pervade l'intera raccolta, stabilendo con immediatezza i termini di un linguaggio fluido, sicuro, ben strutturato, certamente personale e di incisivo potere comunicativo.

*** *** *** *** ***


Paola Doffo

Le voci

Le sento
uniche, diverse,
timbri alterati, sopiti, lacerati
da una vita ingrata.

Fiumi impervi,
alla ricerca del mare
approdo fedele, paziente
nel cui grembo
ritrovano l'angelica sonorità;
figlie sognatrici
di una madre amorosa.

Le bambole

Il muto dondolio
di una culla

dal velo ingiallito.

In un logoro divano
due bambole
con vesti sontuose
gli occhi fissi
un eterno sorriso.

Un braciere acceso
bucce di mandarino bruciano
singhiozzando.

A tavola un piatto di polenta.

Una bimba smarrita
in cerca di una madre che non c'è.

In un logoro divano
due bambole con vesti sontuose
gli occhi fissi
un eterno sorriso.




Parole

Parole auliche
respiro degli avi
siedono sugli scanni della memoria
e lì decorano il nostro essere.

Altre accendono falò
e, dimentiche,
come fuochi d'artificio
si dissolvono
nel mare aperto.

Nella fonte della verità
come cristalli al gioco della luce
si accendono.

Illuminano monti e valli
e sgorgano
come lacrime
sul mio viso di donna.

A Giusy

Esuberanti, palpitanti
teneri incontri.

Parole sussurrate
all'orecchio
curioso e voglioso
di amorevole sentire
i battiti del cuore
della nostra giovinezza ...
tinta di rosa come
i tramonti di Santa Chiara.




Infanzia

Un nido di parole implumi desta
il canto della madre
nenia dolente
repertorio di antichi ricordi

Come edera
s'arrampica il cuore
stanco e sordo
a cantilene tardive.

Il silenzio è risposta
senza lacrime
versate al mio abbandono
nel circo della vita
dove danze di burattini
tenue sorriso
sulle labbra di bambina
suscitavano.

Il silenzio

Il silenzio
culla i sogni
nel muto dondolio
dell'altalena
per ricomporli
in impalpabile armonia

Il silenzio
pause decantate
profumate di tè al gelsomino

Il silenzio
protegge il pudore
impenetrabile dell' "io"

Il silenzio
uno sguardo
all'immensità del mare.




Danzo la mia vita

Danzo sul mare azzurro
della mia terra
danzo sulle nuvole gonfie di cielo
danzo con la pioggia che bagna i miei pensieri
sul molo dove attraccano le barche
sui colori dell'arcobaleno.

Danzo con le mie emozioni
che mi stringono la gola
danzo con i miei sogni
con i miei ricordi
con le braccia strette al petto
e sento battere forte il mio cuore
perché danzo con me.

Libertà

Nella melodia del giorno
dolenti note si dipanano
nel tuo corpo inquisito.

Il tuo vagar errabondo
non trova scampo
se non nella certezza
di cose consuete
di antiche cantilene
di affetti sedimentati
che sopiscono le tue ansie.

E tu
avida di sogni
danzerai leggera
sulle note del tuo arcobaleno
sospesa al filo della vita
come aquilone che vibra
al soffio del vento.

... questo esistere sospeso ...
è la tua libertà.




"Curite gente che pia fogu el maru"


Questo titolo dava il nostro compianto Emilio Gardini ad una sua silloge di poesie dialettali.
Ed io, ora, l'ho scelto per titolare questa mia riflessione sulle "donne" di Porto Recanati in quanto conforme e pertinente alle istanze della mia analisi.
Tale frase era un modo di dire o, meglio, di urlare all'imminenza di un pericolo, un iperbole insomma che dilatava il pericolo stesso esprimendo una sorta di tragicità tipica delle donne di quel tempo.
Vestite di nero quasi in lutto come la Madonna ai piedi del Figlio crocefisso, un lutto perenne in quanto conviventi con la morte che poteva privarla dei suoi affetti più cari.
Mariti e figli adulti di notte solcavano il mare con le loro barche, quel mare che era fonte di vita per sfamare l' intera famiglia ma nello stesso tempo un pericolo, una lotta senza fine che i cosiddetti "sciabegotti" affrontavano quotidianamente.
I marosi allarmavano queste donne vestite di nero, che all'alba, erano già alla "marina" ad attendere con ansia il ritorno dei cari. Ungevano le "palanche" e tiravano con "l'arganetto" le barche perché approdassero a riva senza difficoltà.
A terra sistemavano il pesce pescato in "paglierine" per poi venderlo in campagna o nei paesi limitrofi. Non mancavano litigate, "corna" (e to' per te) insulti perché ognuna si vantava della freschezza e della quantità di pesce dovute anche alla resistenza e possanza dei rispettivi mariti o figli adulti.
Venduto il pesce tornavano nelle loro case più che mai affaccendate, case che avevano, sempre di giorno, la porta aperta perché la vita era sulla strada per parlare tra comari di "dote" per le figlie femmine e criticare o meglio "coionare" comportamenti altrui perché i propri figli e mariti erano indenni da colpe e difetti coperti dalla sua "parnanza" affettiva ...
Per queste donne vestite di nero va messa, secondo me, in evidenza la passionalità, la teatralità, la drammaticità.

I rapporti con i vicini correvano nelle vene del sentimento e bastava una parola male interpretata per causare "cagnare" e allora la teatralità usciva dalle viscere di queste donne e la strada diventava il loro palcoscenico, quella strada dove ancora s'affaccia qualche piccola casa di marinai o "sciabegotti".
Queste donne vestite a lutto sono state le protagoniste principali di un passato i cui segnali perdurano in parte anche oggi, il matriarcato, il possesso assoluto e intoccabile dei loro affetti scevri da difetti.
E noi, oggi, figli o nipoti di quelle madri portiamo addosso la paura non del mare ma della vita per
Queste donne sono state protagoniste di un passato i cui segnali perdurano anche oggi.
Infatti in noi, figli o nipoti di quelle madri, è rimasta la paura non del mare ma della vita per cui a fatti o problemi normali diamo una connotazione dilatata quasi esasperata quando il giorno nel suo svolgersi, dall'alba al tramonto, non è il giorno del "giudizio" ma è un giorno eccellente ed equo".

(Paola Doffo - 26.7.2010)


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