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Marina Rapaccioni

artisti

Nata a San Severino Marche ed ivi residente, in località Parolito.
Inizia a scrivere poesie fin dalla terza elementare quando la maestra di italiano assegna come compito di elaborare qualcosa da inserire fra le poesie di Pasqua.
In quel momento scopre il piacere di scrivere poesie e di leggere gli scritti degli altri poeti senza distinzione, tuttavia in terzo superiore si accorge di preferire Pascoli, Leopardi ma, soprattutto, Dante Alighieri con la sua Divina Commedia.
Nel frattempo continua a scrivere poesie e partecipa a concorsi:
- anno 2006: concorso di poesia di Castrovillari
- anno 2006: concorso poesia Giuseppe Longhi a Romano di Lombardia (BG) organizzato dal Comune e Assessorato alla Cultura
- anno 2008: premio letterario Isole d'infinito, nel Comune di Porto Recanati, organizzato da Coro a più voci, dove arriva tra i finalisti nella sezione vernacolo con la poesia "La sòcera e la fijiastra"
- anno 2009: premio letterario Dialogo di Como organizzato da Dialogo Libri
- anno 2009: premio letterario Isole d'infinito, nel Comune di Porto Recanati, organizzato da "Più Voci … Nel Coro, dove arriva terza nella sezione vernacolo con la poesia "Li tembi de la scòla".
La passione per il vernacolo arriva solo nel 2007 quando inizia a recitare nel Gruppo Teatrale l'Alternativa-AVIS di San Severino Marche, ma la capacità di mettere in rima versi in dialetto settempedano è ereditata dal padre che da sempre scrive filastrocche e stornelli.
È una passione così forte che in cantiere c'è l'elaborazione di una commedia in dialetto settempedano.
Le poesie in italiano raccontano soprattutto la Natura, da lei tanto amata, legata a sentimenti e passioni anche scaturite in lei stessa, ed il paesaggio e le tradizioni del proprio paese a cui è molto legata; non mancano poesie nate da avvenimenti tristi accaduti nel corso degli anni.

*** *** *** *** ***


Marina Rapaccioni

Li tembi de la scola

Me recordo de unu che parlava
co nua a quattr'occhi,
dicìa sembre che sta scòla
portava a tandi sbocchi.
Io che ero frichina,
chissà che sbocchi avìo capitu,
però continuava a dì
che putìo diventà piritu.
'Nzomma, la scòla era l'Agraria
e a me de sta cingu'anni li drendro
non è che più de tantu me sfagiolava,
ma non sapìo che avìo fattu centro!
E cuscì è statu,
ho pijiatu 'n pezzu de carta
chiamatu diploma
e 'n'andru che tutti chiama 'bilitazio',
ho combratu 'na macchina vòna
e hanno cuminciatu a chiamamme fatto'.
"None"- dico sembre io- "se dice piritu"
anche se fra 'n cambu e 'n'andru
cumincio a cambià spissu culuritu.
Me strascino cuscì tantu
che paro 'n'ovo su lu tegamì,
però se devo esse sincera,
'na cosa la devo probbio dì:
piritu non se nasce, se diventa
e ce vòle veramente tanta passio',
è 'n titulu che me tengo strittu strittu
anche fino a dopo la pinzio'.


I tempi della scuola

Mi ricordo di un signore che parlava
con noi a quattr'occhi,
diceva sempre che questa scuola
portava a tanti sbocchi.
Io che ero bambina,
chissà quali sbocchi avevo capito,
però continuava a dire
che potevo diventare perito.
Insomma la scuola era l'Agraria
e a me di stare cinque anni lì dentro
non mi andava più di tanto,
ma non sapevo che avevo fatto centro!
E così è stato,
ho preso il diploma
e l'abilitazione,
ho acquistato una buona automobile
ed hanno iniziato a chiamarmi fattore.
"No" - dico io - "si dice perito"
anche se fra un campo e un altro
inizio a cambiare colorito.
Sono così tanto stanca
che sembro un uovo al tegamino,
però se devo essere sincera,
una cosa la devo proprio dire:
perito non si nasce, si diventa
e ci vuole veramente tanta passione,
è un titolo che mi tengo stretto
anche fino dopo la pensione.


La socera e la fijastra

Pensa 'mbo' che po' succede?
Mammamia! no vurrio stacce,
robba che non ce se crede.
Una cumincia co' le minacce,
l'andra dice l'orazio'.
"Fiju mia, comme ci penzatu a spusatte a quessa
che no sa mancu preparà colazio'?"
"Statte zitta" dice 'a spusa
"e adesso basta a maldrattamme
e comincia a chiedemme scusa,
sinnò no ce ficco tantu a 'rrabbiamme!"
"Capirai che paura cocca!
Guarda 'mbo', tremo tutta,
fiju mia che fijastra sciocca
e se la guardo mejo adè pure brutta."
"Adesso basta, 'i ruttu,
vaco a chiamà a maritimu
e je racconto tuttu!"
"Che adè successu?" domanna issu.
"Mammeta ce l'ha co' me,
adè un chiodu fissu."
"Non daje retta fiju mia,
o sai che ve vojo tantu vè,
è essa che adè 'mbo' ristia
e che no me pòle vedé,
ma la corba non adè la mia!"
"Oh, sai che te dico ma?
Io e essa jimo via,
du' sottane qui non ce po' sta!"

La suocera e la nuora

Pensa un po' cosa può succedere?
Mamma mia! Non vorrei esserci,
cosa da non crederci.
Una inizia con le minacce,
l'altra dice le orazioni.
"Figlio mio, come ci hai pensato a sposarti lei
che non sa nemmeno preparare colazione?"
"Stai zitta" dice la sposa
"e ora basta a trattarmi male
e inizia a chiedermi scusa,
sennò ci metto poco ad inquietarmi!"
"Capirai che paura cocca!
Guarda un po', tremo tutta,
figlio mio che nuora sciocca
e se la guardo meglio è anche brutta."
"Ora basta, mi hai stancato,
vado a chiamare mio marito
e gli racconto tutto!"
"Che è successo?" domanda lui.
"Tua madre ce l'ha con me,
è un chiodo fisso."
"Non darle retta figlio mio,
lo sai che vi voglio tanto bene,
è lei che è un po'restia
e che non mi sopporta,
ma la colpa non è la mia!"
"Mamma, sai che ti dico?
Io e lei andiamo via,
due donne qui non possono starci!"

Luogo incantato

C' è un piccolo paesino
con poco più di cento anime
dove tutti si conoscono,
dove le donne e gli uomini
fanno le proprie arti
e mestieri di campagna,
ma la domenica lasciano tutto
ed in processione
si recano in chiesa.

Sono ancora i luoghi
della maggese,
del pane e della pasta
fatti in casa,
del tino di legno,
delle uova fresche
e delle feste popolari.

In primavera
la bellezza dei prati,
in estate
il calore del sole,
in autunno
i profumi del mosto,
in inverno
il candore della neve.

La notte
la civetta e il gufo
formano un duetto,
il giorno
ogni sorta di uccello
canta la sua sinfonia.

Sono luoghi incontaminati
dove si possono ammirare i boschi
e sentirne i suoni.

Sono luoghi di magia,
quella magia
che si chiama Natura
ed io sono felice
di esserne partecipe.

Il ricordo

Si sta liberando
dalla mia mente
un vago pensiero
di dolce tristezza,
è il ricordo
della mia fanciullezza
che mai più tornerà.

Come le foglie
si piegano al vento,
così i miei pensieri
soccombono al ricordo,
sento un suono
cupo e sordo,
vedo immagini rare
che vagamente riconosco.

Sorrisi, lacrime,
gioia e dolore,
è il ricordo
dell'età del fervore.

Il vento

Il vento
è il re della natura.

Gli alberi,
suoi sudditi,
si inchinano
al suo passaggio.

L'erba,
sua fedele servitrice,
stende un immenso
tappeto verde.

Le nubi,
suoi prodi soldati,
lo seguono
ovunque vada.

Quando si ferma
lascia sempre
i segni del suo viaggio.

Septempeda

San Severino,
San Severino d'argento
che a primavera sbocci
nelle grandi distese
non ancora contaminate dal cemento.

Il sole già alto
e nel suo pieno splendore
accarezza le tue colline verdi.

Nella normale frenesia di oggi,
che piacere vedere
che conservi ancora le tue tradizioni,
l'arzilla vecchietta
con la vanga e con la zappa,
il profumo di pane fresco
che viene dalla bottega,
il rumore del martello del calzolaio
e la gente che si prepara
alla festa di paese ormai vicina.

Qualche graziosa massaia
sforna i vincisgrassi
appena fatti,
nati dalle sue mani.

Quante ricchezze hai
mia amata Septempeda,
mia piccola città
di una invisibile e misteriosa
maestosità.

Risvegli

Guarda
le nubi
che sembrano pecore in fuga,
il cielo immenso
e la piccola farfalla
che leggiadra vola.

Ascolta
il cinguettio degli uccelli,
il fruscio degli alberi
accarezzati dalla brezza
e lo scorrere silenzioso dell'acqua
che alimenta il ruscello.

Odora
il profumo dei fiori,
direi che siano Acacie,
o forse Ginestre?
Miscuglio di aromi
Inebrianti.

Assapora
la bacca matura
dal gusto astringente,
ma in fondo buona
nonostante il suo strano aspetto.

Tocca
con la tua mano
la terra umida e fertile
dalla quale fa capolino
una talpa,
quasi voglia dirti
"Ciao".

Ora ti rendi conto,
Uomo,
quanto sei ricco?


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